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Contraccezione in Italia: un diritto o un lusso?

Esistono vari metodi contraccettivi; i cosiddetti “barriera”, quali il preservativo, sia maschile che femminile, il diaframma e il cappuccio cervicale (ormai poco utilizzati); quelli ormonali, quali la pillola estro-progestinica, la minipillola, il cerotto contraccettivo e l’anello vaginale; metodi contraccettivi impiantabili, quali la spirale al rame e i bastoncini ormonali.

Vi sono inoltre metodi contraccettivi chimici, d’emergenza e naturali, dai quali diffidare. L’elenco che ho proposto non è assolutamente esaustivo; vi sono molti altri metodi, talvolta scarsamente utilizzati o, persino, sconosciuti in Italia.

È di fondamentale importanza sapere quali tra gli svariati metodi esistenti tutelano chi li utilizza dalle malattie sessualmente trasmissibili, piuttosto che da gravidanze indesiderate, o da entrambi.
Tutelare il cittadino in questa sfera così intima equivale a tutelare la sua salute, non solo fisica, bensì anche mentale, ed è dunque un dovere non trascurabile, né tanto meno delegabile, di ogni Stato che possa definirsi civile.

In Francia la pillola anticoncezionale è gratuita per le donne under 25 da circa un anno, e dal primo gennaio 2023, ha annunciato Emmanuel Macron, lo saranno anche i preservativi per tutti i giovani under 26.

Lo Stato Belga rimborsa completamente qualsiasi contraccettivo alle donne fino ai 25 anni di età, e, con un decreto del 2020, la pillola del giorno dopo è divenuta gratuita per tutte le donne, qualunque sia la loro età. Misure molto simili sono presenti anche in Portogallo.

Tutto ciò è attestato dall’Atlante europeo della contraccezione, edito dall’European Parliamentary Forum for Sexual and Reproductive Rights. Si tratta di una mappa che attribuisce a 45 paesi dell’Europa geografica dei punteggi riguardanti la contraccezione. Le classifiche, basate sull’accesso ai contraccettivi, sul counseling e sulla informazione online, rivelano una fotografia delle varie realtà presenti in questi stati, spesso disomogenee tra loro.

Ai primi posti Belgio, Francia, Inghilterra, Lussemburgo e Svezia; mentre prima dell’Italia si classificano paesi come Slovenia, Moldavia, Albania e Serbia.
Tale classifica dimostra come l’Italia sia molto arretrata in questo specifico settore rispetto a molti altri paesi europei, ma paradossalmente è stata, dal punto di vista legislativo, precorritrice, tanto che la prima pronuncia in materia risale agli anni settanta.

La legge n. 405 del 1975, che istituì i consultori familiari, stabilisce che il servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità ha come scopi: la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell’integrità fisica degli utenti; la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento; la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza consigliando i metodi ed i farmaci adatti a ciascun caso.
Viene poi precisato dall’art. 4 della medesima legge che l’onere delle prescrizioni di prodotti farmaceutici va a carico dell’ente o del servizio cui compete l’assistenza sanitaria, e che le altre prestazioni previste dal servizio istituito con la presente legge sono gratuite per tutti i cittadini italiani e per gli stranieri residenti o che soggiornino, anche temporaneamente, su territorio italiano.
Tra i beneficiari di tali servizi vengono compresi anche i minori, come stabilito dall’ ultimo comma dell’art. 2 legge n. 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza: “La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori”.

Esiste quindi una garanzia sulla contraccezione gratuita e accessibile, fondamentale nella prevenzione di gravidanze indesiderate e di malattie sessualmente trasmissibili, prevista dalla legge fin dagli anni settanta.

La situazione in Italia, al giorno d’oggi, è però ben diversa. Tutta la contraccezione, e non solo quella ormonale, è a pagamento; non è coperta in alcun modo dal sistema sanitario nazionale, nemmeno quando prevista per ragioni terapeutiche (pensiamo ad esempio al trattamento dell’endometriosi). Eppure in Italia, secondo le ultime stime dell’AIFA, a prendere la pillola anticoncezionale sono circa 2,5 milioni di donne, con un costo che varia dai 14 ai 20 euro mensili.

Nel 2017 l’AIFA ha riclassificato gli ultimi anticoncezionali ormonali che ancora erano a carico del servizio sanitario nazionale dalla fascia A (rimborsabili) alla fascia C (a carico dei privati).

Ad oggi vi sono delle forme di gratuità dei contraccettivi, ma queste dipendono dalla generosità e dal buon senso di regioni, aziende sanitarie, ospedali e consultori familiari.

Tra le regioni, la prima a provvedere in questo senso è stata la Puglia nel 2008, seguita da Toscana ed Emilia-Romagna; in quest’ultime l’accesso alla contraccezione è gratuito, ma con delle limitazioni e solamente per alcune categorie di richiedenti. Si sono mosse recentemente verso questa possibilità anche Piemonte, Lombardia e Lazio. Spesso la problematica principale della realizzazione di queste iniziative è la carenza di fondi.

Ma il problema si trova ben più a monte; le tematiche riguardanti la sfera sessuale non vengono affrontate, forse perché considerate ancora un tabù o semplicemente di poca rilevanza, da canali istituzionali, ma tante volte nemmeno all’interno delle famiglie stesse.

Vi sono, in realtà, degli organi preposti a questo fine: i consultori familiari. Istituiti dalla legge n. 405 del 1975, oggi stanno lentamente scomparendo. Secondo gli ultimi dati presentati dall’ANSA, i consultori in Italia sono 1800, uno ogni 32 325 abitanti, nonostante la legge n. 34 del 1996 ne prevedesse uno ogni 20 000 abitanti.

Vengono di giorno in giorno considerati sempre meno, depotenziati e scarsamente finanziati. La maggior parte degli adolescenti, e non solo, ignora la loro esistenza o, in ogni caso, non sarebbe in grado di indicare un solo consultorio all’interno della propria città. Ma ciò non a causa di incuranza da parte dei giovani, ma piuttosto per mancanza di informazioni trasmesse dalle scuole, dalle famiglie e dalle istituzioni.

Ma d’altronde, basti pensare che l’Italia è uno dei pochi paesi europei che non ha ancora introdotto l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole. Ancora una volta, le uniche iniziative presenti sono rimesse alla discrezionalità di regioni e singoli istituti scolastici, mancando una disposizione precisa nazionale a riguardo.

Tutto ciò non è irrilevante, non è secondario. In Italia molti non hanno i mezzi, non solo economici, bensì anche culturali per tutelarsi sotto questo punto di vista. Molti giovani ignorano il rischio di contrarre malattie durante un rapporto sessuale non protetto, altrettanti non possono addossarsi il costo dei contraccettivi, così come non possono le loro famiglie, o addirittura non li conoscono nemmeno.

Questi “molti” vivono in condizioni socio-economiche ai livelli più bassi del nostro paese, eppure il più delle volte vivono a distanza di pochi chilometri dalla nostra casa, nelle periferie delle città. Queste realtà esistono e le vivono delle persone come chiunque altro; dunque non debbono essere trascurate ed emarginate.

La contraccezione, e la sua conoscenza, deve essere un diritto e non un lusso.
Aspiriamo ad un cambiamento.

Ginevra Amalia Barone

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